Bikepacking Molise
Campomarino, il mio primo sud.
Ricordi di bambino. Girasoli, vento d’Africa, angurie, caldo torrido, mare vero, spazi vuoti, cielo grigioazzurro. A sette anni il primo viaggio a Sud, prima di allora ‘solo’ il mare della Liguria. Un mondo altro, diametralmente opposto rispetto al mio, quello di un bimbo di Milano.
Emozionante ritornare nello stesso luogo ora. I ricordi riaffiorano passando attraverso luoghi attraversati una vita fa. Zio Peppino e Daniela ci ospitano a casa loro. Peppino è nato a Portocannone, orgoglioso delle sue origini arbëreshë. Peppino non è solo mio zio. Ho iniziato a fotografare per merito suo. E non solo. Ospitalità. Io e Cristina ci sentiamo a nostro agio. Bastano due giorni per ‘acclimatarci’. Bello rimandare la partenza del viaggio a colpi di pedale per osservare ciò che ci circonda.
Pronti? Via!
Prima tappa: da Campomarino a Campobasso (96 km / 1.868 mt. dsl +)
In Molise la pianura non esiste. Per evitare la trafficata statale ‘Bifernina’ infiliamo una serie di borghi e di conseguenza è un continuo su e giù cercando la direzione giusta su vecchie provinciali abbandonate dal traffico. I nomi esotici dei paesi ci fanno sognare: Portocannone, San Martino in Pensilis, Ururi, Larino, Casacalenda, Provvidenti, Matrice. Puntiamo idealmente verso nord ovest. Paesaggio mutevole. Dal mare verso le colline. Campi di girasole, pomodori, vigne, terra scura arata dai trattori. Silenzio. Troviamo subito il ritmo giusto. Guardiamo intorno a noi attenti. Siamo in viaggio e sorridiamo felici, nonostante il caldo e la fatica per i chilometri e l’altimetria.
Scopriamo che Portocannone è uno dei quattro comuni in provincia di Campobasso appartenente alla minoranza etnica e linguistica albanese (è parlata ancora oggi l’antica lingua arbëreshë). Il sindaco in persona ci accoglie nel palazzo comunale e ci mostra la spada del condottiero Giorgio Castriota Skanderberg, eroe nazionale albanese che nel 1461 sbarcò in Italia sulla costa molisana per dare manforte all’amico re Ferdinando I d’Aragona. Da qui la prima emigrazione albanese in Italia.
A Matrice, a pochi chilometri da Campobasso, su consiglio dell’amico fotografo Natalino Russo, cerchiamo la chiesa di Santa Maria della Strada. Dobbiamo spostarci su un colle a Nord del centro per intercettare la chiesa del XII secolo (romanico molisano). Una visone. Nel giardino che circonda la chiesa ci sono due ragazzi sdraiati a riposare e rinfrescarsi sotto una grande quercia. Nessun altro intorno a noi.
La spiritualità si percepisce. Ci perdiamo nel tentativo di decifrare i bassorilievi della facciata illuminata dal sole. Difficile ripartire da qui. Ci rimettiamo in sella e velocemente arriviamo a Campobasso (capoluogo della regione) passando attraverso la periferia antropizzata della città, prima di arrivare a destinazione nel centro storico. Difficile rifasare gli sguardi. Capannoni, centri commerciali e edilizia italiana anni ‘70 fanno da contraltare alle colline e ai borghi silenziosi che abbiamo attraversato pedalando per tutto il giorno.
Tra strade interpoderali, siti archeologici e aspettative.
Seconda tappa: da Campobasso a San Gregorio Matese (56 km / 1.415 mt. dsl +)
Evviva komoot. Perché? Perché la nostra app preferita per la pianificazione degli itinerari di viaggio non è infallibile. È comoda, forse insostituibile, certamente utilissima. Ma fortunatamente non infallibile. E allora eccoci di fronte a un cancello che sbarra la strada del percorso pianificato per ore a computer, tentando di interpretare le linee di quota, il fondo stradale e la direzione migliore. Ma il computer non dice tutto. E allora inversione a U, si cercano alternative. L’itinerario è plastico, finalmente possiamo pasticciare la mappa cartacea che abbiamo preparato e stampato. Deviazioni, nuove salite inaspettate, le prime strade ‘interpoderali’ che ci accompagneranno per tutto il Molise.
Arriviamo a Saepinum attraverso campi arati bordati di fiori azzurri da una bella gravel road che taglia letteralmente la statale 87 sannitica appena prima dell’ingresso all’area di epoca preromanica. È presto, non ci sono ancora visitatori, ci immaginiamo di essere viandanti del passato che percorrono la via principale attraverso l’area archeologica, un tempo parte del tratturo Pescasseroli-Candela. Basta chiudere gli occhi e ascoltare il silenzio.
Le mura sono ben conservate, così come il tempio, il foro, il colonnato della basilica, le terme e gli altri edifici circostanti. Il teatro è stupendo, bordato da abitazioni di epoca medievale costruite con i resti delle pietre degli edifici sannitici crollati nel tempo. Negli anni cinquanta del novecento, quando la transumanza era abituale, queste case erano abitate dai pastori molisani.
Ci dirigiamo verso le montagne del Matese passando da Guardiaregia, pedalando su una bella strada panoramica, tanto per cambiare senza traffico. Finora non abbiamo ancora incontrato alcun ciclista, e nemmeno nessun semaforo.
La difficoltà del giorno non sta nella pendenza o nella lunghezza della salita, piuttosto nel caldo torrido che non ci da tregua. Per i primi chilometri l’asfalto sembra essere una piastra surriscaldata. Non un filo d’ombra. Usiamo l’acqua calda delle borracce quasi solamente per bagnarci la testa. Siamo ufficialmente al Sud.
Abbiamo aspettative. Ma non è buona cosa avere aspettative. La discesa che porta verso il grande lago è piacevole, nonostante l’umidità. E poi inaspettatamente traffico. Il turismo qui è prevalentemente ‘statico’. Qualche pescatore, tante famiglie che parcheggiano l’automobile nei pressi dei ristoranti o a ridosso dei belvedere. Siamo abituati a un’altra concezione di fruizione della montagna. Superiamo il lago e teniamo alti gli sguardi per osservare il sole che scende oltre le montagne. Rimangono illuminate solo le creste più alte. Siamo stanchi, sudati e impolverati. Fatica.
Denti aguzzi, un ex ciclista e ‘la Prova del Cuoco’.
Terza tappa: da San Gregorio Matese a Rocchetta a Volturno (76 km / 1.483 mt. dsl +)
Nebbia all’alba. Umidità. Caldo nonostante l’orario e i 1.100 mt di quota. Un grosso cane ci mostra i denti, ma si ferma al confine della sua proprietà. Faticoso l’arrivo la sera precedente, faticosa anche la ripartenza.
Poi ingraniamo. Riprendiamo il giusto ritmo di pedalata. Arrivano i primi sorrisi. Sguardi attenti. È tutto nuovo qui, completamente nuovo. Siamo al di fuori della nostra comfort zone. Non abbiamo certezze, non conosciamo le salite, ci fidiamo di komoot e imbocchiamo l’ennesima strada interpoderale senza incrociare anima viva. Emozionati ma anche un po’ intimoriti. Soli.
E poi di nuovo Molise. Scendiamo in picchiata su Monteroduni con una vista mozzafiato sul borgo. Ci fermiamo per la seconda colazione della giornata.
Il barista è simpatico e cordiale, oltre ad essere un ex ciclista appassionato. E allori fuori le mappe che abbiamo bisogno di capire se le strade scelte a tavolino sono effettivamente le migliori per arrivare alla destinazione della sera.
Barista: “Ma no! Dovete assolutamente passare da Cerasuolo. Poi Scapoli, Parruce e Castel Nuovo a Volturno. Da li si entra nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise! E domani mi raccomando, fatevi i 20 tornati di Vallefiorita. Una salita che non vi dimenticherete”.
Penna alla mano, disegniamo sulla vecchia mappa una nuova traccia.
Poi arriva la sera. E la doccia. E anche la fame. Che fortuna: Stefano, il nostro oste, oltre ad essere molto gentile e ospitale (iniziamo a pensare che i molisani siano tutti gentili e ospitali) qualche anno fa ha partecipato e forse anche vinto ‘la Prova del Cuoco’. Cena memorabile a base di cinghiale e vino rosso. E poi in un attimo siamo a letto, esausti, con la testa ancora piena di immagini. Ci sembra di aver attraversato un continente intero in una sola giornata.
Buona notte.
Venti tornanti per la Vallefiorita e Carovilli. Questo è il Molise.
Quarta tappa: da Rocchetta a Volturno a Carovilli (76 km / 1.712 mt. dsl +)
Venti tornanti immersi in una delle più belle faggete mai viste. Meraviglia. Quasi non si sente la fatica. Il caldo torrido dei giorni scorsi sembra un lontano ricordo. Siamo abbracciati e protetti da un esercito di faggi che creano un arco naturale sopra le nostre teste. Naso all’insù. L’asfalto è vellutato e non c’è traffico, anzi, non c’è nessuno.
Si percepisce solo la presenza degli animali che abitano questa bella foresta. La salita è lunga oltre dieci chilometri, è stupenda, ne troppo ripida, ne troppo morbida. Siamo entrati nel parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise. Ce lo ricordano anche i cartelli stradali con disegnato l’orso. Bello vedere l’orso, anche solo sul cartello. A breve saremo in Abruzzo, anche se per poco. Abbiamo voglia di rivedere Alfedena dopo due anni. Allora era stato il punto più sud del nostro giro tra i parchi dell’Abruzzo. Questa volta è il punto più a nord.
Rientriamo in Molise e arriviamo a Carovilli. In paese solo qualche giocatore di carte sparso tra i tavolini dei bar della piazza.
La cena da Adriano è il culmine del nostro personalissimo viaggio in Molise. Gustiamo il caciocavallo alla piastra con scaglie di tartufo ascoltando i racconti del padrone di casa. Un’esperienza che vale il viaggio. Si parla di arte, geografia, politica, cucina senza soluzione di continuità. Pur essendoci ripromessi di rientrare presto nel nostro b&b per riuscire a ricaricare le batterie dormento il più possibile (la sveglia suona alle 6,30 tutte le mattine), ci ritroviamo nella cucina dello chef a sorseggiare grappa (e poi un’altra, e un’altra e un’altra). A mezzanotte la piazza del paese, compresa tra la chiesa, la Società di Mutuo Soccorso e i bar è inaspettatamente piena di gente. Ragazze e ragazzi improvvisano una partita di calcio mentre tutti sembrano contenti di chiacchierare nella frescura serale sotto la luce gialla dei lampioni.
Sembra di essere tornati indietro di quarant’anni. Evviva il Molise, le amicizie inaspettate, il Viaggio. Siamo felici.
Il tratturo misura 111,6 metri, corrispondente a 60 passi napoletani. Anche se non si vede.
Quinta tappa: da Carovilli a Bagnoli del Trigno (70 km / 1.208 mt. dsl +)
Avio è il nostro oste di giornata. Colto, disponibile, simpatico (tanto per cambiare). Tra le altre cose è un esperto di tratturi.
Ne approfittiamo per chiedergli qualche informazione, come al solito con penna in mano e mappa sul tavolo pronta per essere modificata. E allora prendiamo l’ennesima allungatoia che ci porta a Pescolanciano, borgo attraversato dal tratturo Castel di Sangro – Lucera. È l’unico luogo in Molise dove si può ancora vedere l’autostrada delle greggi in tutta la sua ampiezza. Incredibile. Ne pedaliamo una parte e rimaniamo stupefatti immaginando la moltitudine di animali che dal VI secolo a.C. (!!!) fino agli anni cinquanta del novecento ha transitato da qui verso le Puglie e viceversa. Avio ci ha spiegato che incontreremo innumerevoli cartelli con indicata la scritta ‘tratturo’ ma che in realtà le antiche vie pastorizie, pur essendo aree demaniali protette, negli ultimi cinquant’anni sono state cannibalizzate da autostrade, abitazioni private (ma anche pubbliche). Viva l’Italia.
Oggi tappa ricca.
Grazie a un (altro) suggerimento di Avio attraversiamo la riserva naturale di Collemeluccio-Montedimezzo (nientepopodimeno che una riserva della Biosfera UNESCO). Troppo? No. Ora ci dirigiamo a Pietrabbondante e cerchiamo il teatro e il tempio italico di origine sannitica, ma ci scontriamo con la burocrazia. È lunedì. La sovrintendenza della regione ha deciso che il sito archeologico si può visitare dal mercoledì alla domenica. Agosto incluso. Siamo davanti al cancello d’ingresso chiuso e si ferma un’auto con a bordo una signora gentile, che si scusa personalmente, pur non avendo colpa, del fatto che il teatro sannitico non sia visitabile. Sorride. D’altronde è molisana. Ci dice di seguirla. E noi pedaliamo veloci per non perderla di vista. In men che non si dica ci troviamo su una sterrata che porta nella parte posteriore del sito, con una vista mozzafiato sull’intera area archeologica. Grazie mille gentile signora molisana che ti sei presa la briga di accompagnare due sconosciuti senza apparente motivo, dedicando loro qualche minuto del tuo tempo.
Tempo. Sembra che qui abbiano tutti il giusto ritmo. Un po’ come la salita di ieri. Ne troppo veloce, ne troppo lenta.
Prima ho detto tappa ricca. Mi correggo: ricchissima. Passiamo da Agnone per una lunga pausa pranzo, con bellavista sulle vallate circostanti. I nuvoloni che girano in cielo promettono pioggia. E la pioggia arriva a pochi minuti dalla nostra meta, che stasera è la ‘perla del Molise’: Bagnoli del Trigno.
Il tappone dolomitico: il contadino saggio e la muntagna.
Sesta tappa: da Bagnoli del Trigno a Bonefro (75 km / 1.868 mt. dsl +)
Doccia calda, pizza gourmet, vista spaziale sulla ‘perla del Molise’. Fotografiamo lo skyline di Bagnoli del Trigno appena arrivati in camera. Poi anche dopo la doccia. E prima di cena. Anche dopo cena. La mattina prima di metterci in sella lo fotografiamo di nuovo.
Poi pedaliamo veloci fino a Trivento. Oggi dobbiamo ‘capire’ il percorso. La traccia disegnata tramite la nostra app non ci convince, alcuni punti non sono chiari. Sulla carta dovremmo raggiungere quasi 2.000 mt di dsl +, ma c’è una montagna che non sappiamo come superare.
Scopriamo in loco che Trivento è sede vescovile e abbiamo la fortuna di incontrare casualmente Nicola, giovane e appassionato studioso di storia locale, che si propone come guida per farci visitare la Cripta di San Casto, nascosta nella Cattedrale dei Santi Nazario, Celso e Vittore.
Una scoperta inaspettata. Mentre Nicola racconta storie e aneddoti io mi defilo per fotografare questo gioiello di grande valore architettonico. Ma ora è tempo di ripartire. Devo ricordare a Cristina che abbiamo una montagna da superare. Dal punto panoramico a sbalzo sulle mura del borgo vediamo nitidamente tutta la valle del Biferno e tentiamo di intercettare con lo sguardo il sentiero che dovremo seguire per continuare il viaggio.
Una discesa su sterrato ripidissima ci fa perdere quota in un attimo. Ogni volta che mi capita di scendere troppo in fretta mi innervosisco pensando a quanta fatica dovrò fare per risalire. D’altronde abbiamo voluto la bicicletta, no? Ci ritroviamo presto a fondovalle, in un dedalo di strade interpoderali che si intersecano tra loro. Difficile trovare quella giusta indicata dal telefonino.
Asche: “buongiorno! Per Bonefro da che parte dobbiamo andare?”
Contadino: “Bonefro? Da qui? Ma chi ve l’ha detta la strada?”
Asche: “mah, stiamo seguendo l’itinerario dal telefonino!”
Contadino: “La strada ve l’ha detta lu telefono? Nooooooo! Ma lo sapete che per andare a Bonefro dovete superare la muntagna? Lassù le vedi quelle pale eoliche? Ecco, oltre quelle dovete andare! Andate di la, ma attenzione che è ripidissima la strada! Manco le macchine riescono a salire!”
Ecco, appunto, la muntagna. La linea che su komoot è rosso scuro indica una pendenza molto elevata. Bene. Ripartiamo. Lenti. Lentissimi. Sudati. Sudatissimi. Ci supera una Panda 4×4 delle Poste Italiane. La ragazza alla guida è esterrefatta nel vederci lì. Si ferma, ci chiede se abbiamo bisogno d’aiuto, ci offre la sua acqua, ci dice che non ha mai visto in tanti anni una bicicletta su quella strada. Poi ci consiglia (o meglio, costringe) di cambiare itinerario. Le diamo retta.
Il bosco è lontano, pedaliamo sotto il sole. Quando arriviamo all’ombra degli alberi non ci sembra vero. Un’altra sterrata bella ripida ci porta fino in cima alla ‘muntagna’. Evviva.
La discesona che segue ci fa tirare un po’ il fiato, ma ci aspettano altri 600 mt di dsl che decidiamo di affrontare sulla statale che, nonostante sembri un’autostrada, non è fortunatamente trafficata. Pendenza media del 10%. Bene. Mettiamo il 36 e ci fermiamo ogni 500 metri.
Casacalenda e Civitacampomarano le superiamo al volo. Non vediamo l’ora di arrivare a destinazione. E a Bonefro ci aspetta Giuseppina, la nostra oste di giornata, con il solito sorriso sincero molisano che riempie il cuore. Finalmente è sera.
Evviva i murales. Evviva l’ultima tappa. Evviva.
Settima tappa: da Bonefro a ??? (26 km / 246 mt. dsl +)
L’ultima tappa è sempre la più facile.
I ciclisti lo sanno. Al Giro d’Italia, ad esempio, serve da passerella finale per celebrare il vincitore della gara. Se poi è in discesa, come la nostra, con pochi su e giù, è ancora più facile. Per una volta facciamo colazione con calma, chiudiamo le borse da bikepacking con calma, arriviamo a Santa Croce in Magliano con molta calma.
Ci perdiamo tra le vie del paese per guardare e fotografare i murales realizzati per il PAG (Premio Antonio Giordano), un progetto d’arte urbana che nasce con l’obiettivo di promuovere e divulgare le arti visive in ogni sua forma (pittura, scultura, fotografia, architettura) con particolare attenzione ai linguaggi contemporanei.
Just a perfect day.
Ripartiamo. Puntiamo verso la Puglia. Manca poco, ci aspettano Peppino e Daniela con la promessa di un piatto di pasta al ragù, a Campomarino, sul mare che ci siamo lasciati alle spalle setti giorni fa. La strada interpoderale di oggi è bellissima. Neanche una macchina. Dritta, bordata da campi arati e masserie pittate di bianco. Si sente il mare che è laggiù, a venti chilometri da noi.
Una foto, un sorriso, la tensione cala, un’altra foto e inizio a rifasare il pensiero sulla frequenza della vita ‘normale’, dopo sette giorni meravigliosi passati in sella.
Venticinque all’ora, sguardo oltre l’orizzonte, un bunker di sabbia inaspettato a bordo strada, la ruota anteriore scivola nella sabbia, in un istante mi trovo a terra, catapultato in avanti con la bici addosso. È un attimo. Spalla fuori sede, graffi, lividi, fa caldo, non c’è ombra, dolore, pensieri di ospedali e ambulanze e punti di sutura. Mi gira la testa. Cristina urla spaventata (e mi sgrida!) chiedendomi come cavolo ho fatto a cadere! Chiedo scusa.
L’ultima tappa è sempre la più facile.
Poi in un attimo succede di tutto: arriva una signora in auto, sbucata dal nulla, che sembra essere scesa da un’astronave. È la proprietaria di una masseria poco distante da qui. Aiuta Cri a chiamare l’ambulanza, e va incontro ai medici perché in quella strada sennò non ci sarebbero arrivati mai. Prendo coraggio, mi alzo in piedi, spingo la spalla nella direzione giusta e mi rientra in sede, urlo dal dolore e vedo la Madonna, arriva il fratello della signora di prima con un cuscino, un succo di frutta all’arancia e acqua gasata fredda di frigorifero. Sto già meglio.
Il medico e gli infermieri fanno tutto quello che devono al meglio. Pressione OK, saturazione OK, spalla più o meno OK, buco sulla tibia disinfettato e suturato e fasciato.
Grazie. Ringrazio tutti. Grazie mille, non dovevate. Ma ora posso rimettermi in sella? Peppino mi aspetta con la pasta in tavola!
La pastasciutta a Campomarino e gli ombrelloni del lido Sveva a Termoli.
Alla fine è arrivato zio Peppino nel punto X seguendo le coordinate del telefonino. Le Cinelli nel baule, noi comodamente in auto fino a casa, giusto in tempo per mettere le gambe sotto il tavolo.
La testa è piena di pensieri. Non possiamo salutare il Molise così, velocemente, soprattutto dopo un caduta.
Asche: “Che ne dici se ci fermassimo un paio di giorni a Termoli?
Cri: “mhhh non so”
Asche: “stasera zuppa di pesce, domani lettino e ombrellone al lido Sveva.”
Cri: “E quindi niente bici?!? Va bene dai, per questa volta ci sto!”
Testo e foto © different.photography