
Nei recap di viaggio raccontano tutti delle cose fighissime.
Ma perché un’avventura sia tale di base serve una bella fetta di type 2 fun. Se fila tutto liscissimo vuol dire hai fatto un viaggio noioso.
La strada forestale è pianeggiante e attraversa una foresta di antichi e maestosi pini larici, ogni tanto viene interrotta da piccoli ruscelli d’acqua che scorre a valle partendo dalle vette ancora innevate.
Il fondo è mutevole, da chiazze sabbiose a punti più sassosi, mai in maniera esagerata, ma abbastanza da forzarci ad un ritmo piuttosto basso.


Ad un tratto sento uno scoppio e la mia ruota posteriore è istantaneamente a terra.
Nonostante il sole, tira un vento gelato che fa venire voglia di effettuare in fretta la riparazione senza perdere tempo. Slego la tenda dal portapacchi, via la borsa destra, via anche la sinistra, rovescio la bicicletta ed estraggo la ruota, stallono la gomma e mentre la ispeziono mi accorgo che la valvola della camera d’aria è letteralmente tranciata a metà, mai vista una cosa del genere.
Apro la borsa in cerca del ricambio, tasca sbagliata, impropero, chiudo e riapro l’altra.
Sulla ruota dietro grava parecchio peso e per limitare il rischio di pizzicare preferisco avere una gomma estremamente gonfia.
Mi appresto a rigonfiarla con una di quelle fichissime pompette ultralight bella è… leggera e dal design incredibile, peccato che mi aspettano 10 minuti di pompaggio furioso.

Poco dopo essere ripartito sento la bicicletta rispondere in maniera anomala, guardo in basso e la maledetta ruota dietro è mezza sgonfia, impropero molto.
Smonto di nuovo borse e ruota, sono decisamente scocciato e faccio poca attenzione a come mi muovo, la catena è unta e indosso una giacca giallo canarino, non un gran binomio, impropero ancora.
Rivolto la gomma come un calzino e la ispeziono minuziosamente fino a trovare la minuscola spina infame. Più osservo e accarezzo il copertone più mi rendo conto di quanto sia sottile.
Monto la seconda e ultima camera di ricambio, dopodichè restano solo le toppe come soluzione estrema.
Rimonto la gomma, gonfio, riaggancio le borse e riparto.




Passo il resto della giornata in paranoia.
Pedalando osservo in maniera maniacale il terreno su cui rotolano le mie gomme cercando di individuare ed evitare ogni piccolo elemento “pericoloso”. Compilo un archivio mentale delle piante che circondano la strada, riconosco almeno 5 diverse varietà dotate di spine, si diversificano per altezza, spessore del gambo, colore dei fiori, dimensioni delle foglie, ma tutte hanno spine che, piccole o grandi, minacciano l’aria nelle mie gomme.


Viaggiando in bicicletta in autonomia e dormendo in libera è bene concedersi qualche piccola ricompensa durante la giornata, è pur sempre una vacanza in fin dei conti. Nello specifico la seconda colazione e la birra di fine tappa sono una costante.
Abbiamo concluso la tappa leggermente in anticipo, in un posto pazzesco, un panoramico balcone granitico che si affaccia su un enorme valle, circondata da pareti rocciose e boschi maestosi.
I colori del tramonto cominciano ad incendiarsi e spalmarsi su tutto il paesaggio e le forme rotondeggianti del granito offrono ergonomiche sedute perfette per godersi la birreta di fine giornata fronte sole.

Nelle borse, alla partenza, le cose sono sistemate seguendo un ordine maniacale e sensato, che però immancabilmente dura solo poche ore. Dopodiché ci si ritrova a rovistare, con le braccia immerse fino al gomito nell’amalgama multiforme/colore contenuta nelle borse.
Ad un certo punto le mani percepiscono del bagnato, che ovviamente non dovrebbe esserci.
Improperi.
La birra, che doveva coronare la fine della giornata, non è più dentro la sua lattina, che giace bucata sul fondo della borsa. Il sacco a pelo, che doveva fungere da strato di protezione per la lattina, ha assorbito l’intero mezzolitro di birra.
In lontananza si scorgono alcune cime ancora innevate, l’aria è frizzante e dormire con un sacco a pelo fradicio a più di mille metri di quota è una pessima prospettiva.
Condividiamo le 3 birre superstiti e diamo il via al problem solving:
Piano A.
Il vento che ci ha infastiditi per gran parte del giorno ora diventa un alleato, il sacco a pelo appeso ad un albero sventola come una goffa bandiera, ma al tramonto è ancora umido.
Piano B.
Per la serata abbiamo trovato un angolo protetto dal vento, tra 2 alti massi dalla superficie lavorata, piena di buchi e forme curve. L’incavo più ampio è annerito da evidenti segni di fuoco e la legna secca nei dintorni non manca.
Il sacco a pelo finirà velocemente di asciugarsi davanti al fuoco, che ogni tanto scoppietta sparando piccole braci attorno a sé, col rischio di assistere ad una fiammata improvvisa classica dei tessuti sintetici.
Una decisa nota di affumicato si aggiunge alla già ricca fragranza data al sacco a pelo dalla birra ambrata alla castagna.
Sempre meglio che dormire nell’umidità.

Questa cosa del dormire in libera è una questione spinosa.
In Corsica, come in molti altri posti, è vietato e in parte ne condivido le motivazioni, ma spesso è anche la parte più autentica del viaggio.
Mi è ben chiaro che proiettando su grandi numeri questo comportamento si creerebbero delle situazioni limite, andando a rovinare alcune preziose nicchie naturali.
Ma cercare un posto dove dormire, senza acqua corrente, energia elettrica, comfort e regole è la massima espressione di disconnessione dalla società, una regressione che ti riavvicina al tuo io animale, riporta il focus sui bisogni primari e aiuta ad osservare da un altro punto di vista la complessità della vita “reale” a cui siamo abituati.

Abbiamo piantato la tenda, a notte fonda, vicino alla strada, sotto agli alberi dove il terreno è più morbido e pianeggiante. La sveglia è puntata alle 6 per smontarla all’alba, nessuno saprà mai che siamo stati qui.
E invece alle 6 piove a dirotto, fa freddo e una fitta nebbia avvolge tutto, non dà l’impressione di voler smettere a breve.
Restiamo imbozzolati nei sacchi a pelo a goderci il riposo aggiuntivo non programmato.
Ma sappiamo bene che le nostre tende, di un bel rosso acceso, sono perfettamente visibili dalla strada e i guardia-parco qui pare siano piuttosto rigidi.
Verso le 7 la pioggia cala di intensità e smontiamo il campo in fretta e furia, carichiamo le biciclette e poco dopo essere partiti incrociamo la jeep del guardia-parco.
È una buona mezzora che ho smesso di divertirmi, sono esausto e appiccicaticcio di sudore, vorrei aver già piantato la tenda per godermi il tramonto guardando il mare.
Le bici sono stracariche, abbiamo appena fatto un ricco rifornimento di cibo ed acqua per 2 giorni in autonomia. Sentire le gomme che sprofondano mentre si spinge la bici in mezzo alla sabbia non ti mette di buon
umore,
il rapporto fatica/metri percorsi è super svantaggioso.
Decidiamo di fermarci prima delle ultime dune che ci separano dal mare, in mezzo ad un rado bosco di mughi che crescono direttamente dalla finissima e bianca sabbia.
La fame è tanta e quando sento il tipico odore del tonno sott’olio mi viene l’acquolina in bocca.
Un’istante dopo capisco che se sento odore di tonno ma non ho ancora aperto la scatoletta non è un buon segno.
E infatti scopro che la grossa latta di tonno si è aperta, probabilmente appoggiando la borsa contro una roccia senza troppa gentilezza.
L’olio è colato tutto sul fondo della borsa in pvc e ha sporcato parecchia roba, fortunatamente non è la borsa dei vestiti.
Vi lascio immaginare quanto è stato semplice gestire una 15ina di oggetti stra-unti da pulire grossolanamente quando il tuo unico piano d’appoggio è la sabbia.

Oggi rest-day, solo 30km.
Quando le percorrenze sono così basse è inevitabile prendere la giornata sottogamba.
Ma i numeri sono relativi, si impara presto a non farci troppo affidamento.




Generalmente se un posto è davvero tanto bello è perché è difficile da raggiungere.
Questo scoraggia una buona metà di chi vorrebbe scattarcisi un selfie per i social. Calcolare quanto valga la pena soffrire per raggiungere un posto prezioso però è complesso.
I primi km di strada sterrata sono molto scassati e ripidi, ma non a sufficienza per scoraggiarci.
Per seguire la costa percorriamo brevi tratti di single track che idealmente doveva essere la parte più fica della giornata e invece si rivela un calvario.
Il sentiero è spesso non pedalabile, stretto ed incassato tra la vegetazione mediterranea che graffia le gambe e le borse. Il rapporto fatica/metri percorsi fa rimpiangere la sabbia di ieri sera e capiamo in fretta che se il percorso continua così 30km sono un’enormità ed è impossibile stimare un tempo di percorrenza sensato.
Torniamo sulla sterrata estremamente sconnessa, che rispetto al sentiero è un lusso.
Arrivati ad una spiaggia idilliaca “tiriamo i remi in barca” e ci portiamo a casa 23 scandalosissimi km.
Gli ultimi 7km, tutti su sentiero, ci avrebbero regalato una sfacchinata con arrivo a sera inoltrata e un umore pessimo.

Così invece ci godiamo un pomeriggio di decompressione, tuffi e relax su una spiaggia bianchissima, popolata da pochi bagnanti e qualche mucca che passeggia sul bagnasciuga.

Da quando viaggiamo in bicicletta non abbiamo mai avuto imprevisti grossi, di quelli che interrompono il viaggio. Qualche piccolo guasto tecnico, ma in qualche maniera si ripara, e qualche giorno di meteo avverso, che tocca sopportare per forza.
Quando è il tuo corpo che si guasta invece tocca ragionarci meglio.
Mi sveglio con il ginocchio gonfio e l’articolazione irrigidita dal riposo, è dolorante quanto basta per cominciare a pensare a tutte le variabili e dare il via ad una super spirale negativa.
Applico abbondante crema antinfiammatoria e mostro il ginocchio a Denis, che si è svegliato da poco.
Speravo in un’incosciente “non preoccuparti vedrai che poi ti passa, non è niente di che” ma la sua espressione dice tutto, siamo adulti e sappiamo bene che pedalare su un ginocchio già infiammato è una pessima idea e rischia di mandare a monte il mio viaggio.

La tappa di oggi inizia sotto l’acqua e fortunatamente in leggera discesa.
Pedalo lentamente senza sforzare eppure il ginocchio mi avverte chiaramente che non è cosa, l’acqua mi gocciola in faccia dai bordi del cappuccio, non chiacchiero e faccio finta di niente.
Nella mia testa da ossessivo compulsivo comincio a studiare tutta la logistica per un rientro anticipato.
Vacanza rovinata, soldi e preziosissimi giorni di ferie buttati.
Dopo 25km di cattivi pensieri, finita la discesa, ci fermiamo a fare colazione in un bar ed in gruppo studiamo un piano realistico.
Niente più bicicletta per me per oggi, prenderò un taxi da solo, un paio di pillole di antinfiammatorio, abbondante crema e cercherò di riposare il più possibile.
Domani si vedrà.
Passo un ora in taxi da solo, con un uomo che parla solo francese, non ha voglia di parlarmi e io anche meno.
Il giorno dopo il ginocchio si è sgonfiato, continuo con la crema e gli antidolorifici. In salita, anche se non percepisco piu il dolore, pedalo lentamente e in maniera sbilanciata, spingendo di più con la gamba sana, senza essere sicuro che sia una mossa molto saggia.
Splende il sole ed ho un sorriso stampato in faccia.
L’ultimo giorno di pedalata di un viaggio ha sempre un sapore diverso.
E’ come l’ultimo scacchetto di una cioccolata, sai già che ne vorrai un’altro anche se non lo hai ancora mangiato.
Dopo ore con le meraviglie della costa Corsa negli occhi gli ultimi 20 km prima di Bastia fanno già quasi parte del pacchetto traghetto-auto che ti aspetta per tornare a casa.
Il paesaggio lo hai gia visto alla partenza del viaggio, la curiosità è scemata, e cominci a desiderare la prima doccia dall’inizio del viaggio.
Ed è qui che l’ironia della sorte si gioca la briscola, perchè dopo aver cavalcato la bici su svariati scassatissimi sentieri vuoi non romperlo un raggio su una strada litoranea asfaltata pianeggiante e noiosa?
La ruota gira sbilenca, piove, le auto ti superano veloce e pensi che un guasto rompe le palle ovunque succeda, qui riusciresti anche a trovare una soluzione velocemente, ma chiudere il viaggio a spinta sarebbe davvero miserevole.
La ruota ha resistito, ancora una volta era solo un assaggio,
giusto per ricordarti che il bello di queste esperienze è che non sai mai bene come finirà la giornata.

STAY WILD
Foto di Denis Sassudelli e Bonvecchio Francesco
Testi di Bonvecchio Francesco