Al-Andalus, bikepacking the Islamic Spain.

bikepacking islamic spain

Al – Andalus: la Spagna Islamica.

Così fu ribattezzata dai mori questa terra, per secoli confine tra occidente e oriente, ricca di storie e tradizioni, caratterizzata da una natura selvaggia e indomita, custode di due perle uniche: il deserto di Tabernas e il deserto di Gorafe.


Sabbioso e arido il primo, roccioso e monumentale il secondo.

L’idea di un viaggio in bikepacking in Andalusia è nata da qui.
Dal desiderio di perdersi nell’immensità del deserto, in quel silenzio che solo le due ruote sanno regalare. E si è materializzata in una fredda serata di fine gennaio, alla fine di una di quelle giornate in cui l’anima è irrequieta e il desiderio di evasione palpabile.

“Giulia vuoi venire in Andalusia?”

Gliel’ho buttata lì così, ma sapevo che avrebbe accettato! Il lampo nei suoi occhi, quando pochi giorni prima le avevo accennato all’idea del viaggio, era stato inequivocabile! Non sapevo che avrebbe fatto il biglietto la sera stessa!
Ma Giulia è così! Entusiasta per indole!

E allora che Andalucia sia!

Le settimane prima della partenza sono state febbrili e concitate.

Abbiamo cercato di pianificare tutto nei minimi dettagli, dall’attrezzatura ai pernottamenti. Date le rigide temperature che avremmo incontrato,
abbiamo optato per un set-up da bikepacking leggero, con soste presso hostal e B&B, in modo da non caricare troppo le bici e pedalare più agilmente.
Abbiamo studiato il percorso.
Abbiamo deciso di partire in mountain bike piuttosto che in gravel, prediligendo il più possibile sterrati e off road.
Ci siamo fatte un’idea dei luoghi che avremmo visitato, ma quando siamo sbarcate ad Almeria e ci siamo messe in moto, ci siamo rese conto che nulla sarebbe stato come ci aspettavamo.


La civiltà è rimasta alle nostre spalle dopo pochi chilometri.
L’asfalto è stato ben presto sostituito da carrarecce ripide e polverose.
I centri abitati si sono diradati.
La salita si è fatta più impervia.
Il vento si è fatto gelido e sferzante.


La Sierra Alhamilla ci ha abbracciate e accompagnate con i suoi boschi fitti e cespugliosi per decine di chilometri, finché, arrivate al valico di Pico Colativi a 1400 mt sul livello del mare, Tabernas, con l’immensità del deserto che la racchiude, si è materializzata sotto di noi.
Complici la luce del tramonto, e una tempesta di sabbia improvvisa, la discesa infinita verso la città ci ha lasciate senza fiato.


Cariche di entusiasmo la mattina successiva ci siamo addentrate nel deserto.
Una distesa di calanchi, ricoperti di sabbia, attraversati da ramblas in secca che si snodano tra pareti rocciose dalle molteplici sfumature e si perdono lungo canyon via via più stretti e impedalabili.

Risalendo il letto dei fiumi asciutti l’atmosfera si è fatta surreale.
Il silenzio sordo.
Per lunghi tratti abbiamo spinto le bici a mano.

A farci compagnia solo il sibilo del vento, interrotto dal fruscio di lepri e uccelli disturbati dal nostro passaggio e gli zoccoli dei cervi intenti ad arrampicarsi lungo i crinali.

Unico vero deserto in Europa, questo luogo ha un fascino unico e non a caso è stato set privilegiato di numerosi registi, tra i quali Sergio Leone, che qui hanno ambientato le loro storie dal sapore western.

Ma se il deserto di Tabernas è affascinante, quello di Gorafe regala suggestioni difficilmente replicabili.
Lasciando Tabernas il paesaggio cambia completamente e si fa fatica a immaginare la tappa successiva.
Si pedala per chilometri, accompagnati dalla Sierra Nevada che domina l’orizzonte e distese infinite di pale eoliche che affollano gli altopiani attraversati.
Ulivi e mandorli in fiore a perdita d’occhio.

La montagna da svalicare per raggiungere la Sierra de Baza si presenta dolce e sinuosa si lascia scalare senza troppa difficoltà.
Le greggi custodi del valico scappano al nostro passaggio.
I pastori si stupiscono nel vederci passare.
Siamo curiose.
Non capiamo dove si celi il deserto di Gorafe.
Finché, all’improvviso, dopo chilometri pedalati lungo un altopiano brullo e spoglio, gli splendidi paesaggi geologici scolpiti dall’erosione si materializzano sotto di noi.
Scendendo lungo la gola scavata dal fiume Gor, che conduce al paese incastonato nella roccia, ci colpiscono le vaste piantagioni di ulivi disseminate tra le rocce.
Il verde degli alberi, il bagliore delle chiome argentate, contrasta nettamente con gli aridi calanchi che li circondano e che rendono unico questo scenario.


Un geoparco megalitico, in cui si concentrano più di 240 dolmen risalenti al neolitico.

Un susseguirsi di canyon, burroni e camini di fate, scolpiti in milioni di anni da acqua e vento a riempire l’orizzonte.

Un dedalo di percorsi da pedalare soffermandosi continuamente in contemplazione di scorci difficilmente descrivibili, avvolti nel silenzio.

Osservandole dall’alto, queste “badlands” ricordando il Gran Canyon.

Vere e proprie sculture monumentali, che a seconda dell’ora del giorno si accendono di mille sfumature.

E quale modo migliore di assaporarle, se non una tazza di the preparata grazie al nostro fornellino, in un’imperdibile alba di un pungente fine febbraio.
La luce bianca che appiattisce tutto prima che il sole sorga, lentamente diventa rosa e poi via via si intensifica fino a inondare tutto, donando alle rocce tonalità sempre più intense che vanno dal viola al rosso fuoco, all’ocra e all’arancio.

Gli arabi che dominarono per secoli queste terre vivevano nelle cuevas, case scavate direttamente nella montagna e a tutt’oggi nel paese di Gorafe è possibile visitarne alcune e pernottare al loro interno.
Perdersi in questi luoghi è stato incredibile. Le giornate si sono allungate smisuratamente.
Il tempo si è fermato.

La natura ci ha ammaliate con la sua maestosità e possenza, ci ha ricaricate e rigenerate.

E adesso che il prossimo sogno abbia inizio!

Words & photos by RebelSide