Diario Eroico

Viaggio tra le strade bianche della Toscana.

In principio erano le strade bianche. Strade polverose e di campagna dove è nato il ciclismo e dove mesi fa è tornato il Giro d’Italia con la tappa Perugia-Montalcino. Sto parlando del percorso dell’Eroica, nei dintorni di Siena, tra la Val d’Orcia, il Chianti e le Crete Senesi.

L’Eroica è una manifestazione cicloturistica nata nel 1997 che rievoca i valori del ciclismo di una volta. Quello di Coppi e Bartali, fatto di povertà, forza d’animo e fatica. L’evento si tiene ogni anno a Ottobre e a Maggio, prima a Gaiole in Chianti, poi a Montalcino, ed è caratterizzato dall’uso di bici e abbigliamento d’epoca. Nel 2017 è nata anche la versione con bici moderne e gravel: la Nova Eroica di Buonconvento. Dato il successo, l’Eroica si è diffusa anche in Europa, America, Giappone e Sudafrica. Negli ultimi anni il percorso è diventato permanente ed è meta di cicloturisti e appassionati di bike-packing provenienti da tutto il mondo.

Ho deciso di fare questo viaggio in pieno secondo lockdown, forse per il bisogno di evasione, per immaginare una libertà rinnovata e ritrovata e per mettermi alla prova. E farlo per la prima volta, da solo, in bici, tra le strade bianche è il modo che ho scelto.

“Ho dovuto partir da solo”, così Alfredo Oriani inizia il suo resoconto di viaggio Sul Pedale. Uno dei primi inconsapevoli cicloturisti italiani che nel 1897 partì dalla Romagna e arrivò in Toscana con una Bremiambourg a scatto fisso. Bici esposta nella sua ex casa, ora museo, a Casola Valsenio in provincia di Ravenna.

Sono pronto, più mentalmente che fisicamente. Parto per Siena in macchina con la mia gravel. Mi aspettano 200 km in 3 giorni e un dislivello di 3500 metri.

Polvere e gloria

Da Siena a San Quirico D’orcia | Distanza: 73,7 km | Dislivello: 1400m 

4 settembre 2021

7:30. Guardo fuori. Le previsioni danno pioggia dalle ore 15. Penso che questo possa rendere più interessante l’esperienza. Ma in realtà spero di non incontrare l’acqua. Vado a fare colazione, la bici è quasi pronta, mi attendono tre giorni all’aperto. Parto euforico ed emozionato. 

Dopo i primi 10 km si esce da Siena e inizia la strada bianca, direzione Radi. Insieme a me passano diversi motociclisti con pettorine numerate con scritto Polvere&Gloria. Scopro più tardi che si tratta dell’Eroica in moto.

Inizio a incontrare altri ciclisti ed è subito la fiera dei saluti. Questo mi fa proseguire bene. Un ciclista cade di fronte a me. Passo davanti e chiedo se va tutto bene. Sì sì. Si prosegue. 

Come disse Pantani: “il ciclismo è una grande famiglia”, nessuno verrà mai dimenticato.

Mi fermo a Murlo. Prima sosta, Km 25. Rifornimento d’acqua. Noto che la bici e le borse sono completamente bianche dalla polvere. Bevo il gel. Mi riprendo. E poi il primo riconoscimento: il timbro dell’Eroica. Sul roadbook oltre alla mappa sono segnati i cinque checkpoint: Siena e Val D’Arbia, Montalcino, Val d’Orcia, Crete Senesi e Chianti.

Poco prima di andare via, si avvicina un signore anziano. Si chiama Ivo, classe ‘34, quando aveva 20 anni andava tutti i giorni in bici da Murlo a Siena per lavorare come muratore. Poi nel 1957 ha comprato la moto. Pagata 250 mila lire. Nel frattempo esce una signora, sua moglie, e si scusa dicendo che ripete sempre storie del passato. Io lo ringrazio invece. I racconti dei nonni sono un tesoro inestimabile. Mi racconta anche che ha costruito una palestra, che c’erano due strade diverse per andare a Siena e che si scherzava sempre. Lo dice col sorriso e una forte cadenza toscana che faccio quasi fatica a capire.

Proseguo. Da Murlo a Bibbiano si corre veloce. Strada asfaltata e discesa. Arrivo a 50km/h. Non mi fermo nemmeno di fronte a paesaggi interessanti, fatti di casali e cipressi. Voglio andare, finalmente.

Superato Bibbiano, inizia il punto più preoccupante della giornata. Castiglion del Bosco. Strada bianca e salita. Intorno campi da golf e stranieri che giocano. Appare chiaro il contrasto: io in bici, sudato, su strade polverose, loro col caddy, puliti, su un tappeto erboso. Grandi pensieri affollano la mia mente. Poi mi risuona la frase dell’Eroica “la bellezza della fatica, il gusto dell’impresa”.

Mentre vado mi rincuoro, pensavo peggio. La parte più difficile invece deve ancora iniziare. Incontro il cartello che preannuncia la pendenza del 15%. Inizia una serie di curve come paraboliche e strade sconnesse. È un incubo. Mi fermo due volte. Bevo e riprendo fiato leggendo l’adesivo sulla mia borraccia: “Morning Glory”.

Dopo 2 km si inizia a respirare. Finalmente la prima discesa. Da lì inizia un saliscendi morbido, quasi divertente fino allo svincolo per Montalcino. Intanto continuo a mangiare la polvere dei motociclisti, nel segno della gloria, la loro. Poco dopo uno di questi fa inversione a U e mi chiede: “How long is this road?” Domando dove deve arrivare, ma non gli interessa, insiste, vuole sapere per quanto la sua Ducati deve percorrere quel fondo lì. Pronuncio “gravel road” per accertarmi che abbia capito. Lui annuisce. Gli dico all’incirca 5 km prima di trovare l’asfalto. Ringrazia e riparte.

Riprendo anch’io. Appena finisce la strada bianca esclamo: “Santa pace!”, non so perché ma posso intuirlo. Si sale ancora un po’. A una curva si intravede Montalcino. Mancano 6 km. C’è un motociclista senza pettorina. Mi fermo per fare una foto. Mi dice: “Che fatica in bici, io non lo farei mai!”. Rispondo: “È tostissima”. Ha l’accento emiliano. Gli chiedo se è di Bologna. Quasi, Castelfranco Emilia, Modena. Parliamo un po’ delle strade di quelle zone. È partito stamattina e torna in giornata, è la terza volta che fa questo giro. Mi congedo dicendo di voler raggiungere Montalcino per pranzare. Dopo poco mi supera e mi suona a mo’ di saluto.

Incontro uno svincolo e poi discesa fino alla porta della rocca di Montalcino. Entro nel paese e mi fermo a La Sosta, ristorante a 50 metri dalla fortezza. C’è movimento nella città del Brunello, tra turisti, ciclisti e motociclisti. Mi aspetta il pranzo e Sara che qui ci lavora.

Finalmente mi siedo, per due ore non mi muovo e mangio i pici e un secondo con ripieno ai pistacchi.

Alle 16:30 è ora di ripartire. Mancano 20 km all’arrivo della prima tappa: San Quirico d’Orcia. Dal paese scendo fino ad incontrare la Cantina di Montalcino. Poi giro a destra e di nuovo strada bianca. Inutile dire che vorrei fosse finita per oggi. Continuo e mi fermo a 3 km dall’arrivo, ultima parte in salita, lieve e costante. Sono nel punto dove passa la via Francigena. Il cartello segna la direzione di Roma. Eddy Merckx, il campione belga degli anni ‘70, diceva “quando la strada sale non ti puoi nascondere”. Decido che, per oggi, è ora di terminare il mio giro. Stringo i denti. Pedalata dopo pedalata in 25 minuti arrivo al mio alloggio.

Antenati e strumenti

Da San Quirico D’orcia a Castelnuovo Berardenga | Distanza: 69,6 km | Dislivello: 1150m

5 settembre 2021

Mi sveglio indeciso se fare una variazione rispetto al percorso originale e arrivare direttamente a Buonconvento, passando per i famosi cipressi di San Quirico d’Orcia. Decido per una via di mezzo.

Ripercorro la strada di ieri, quei 25 minuti sofferti ora li faccio in 10 minuti, tutti in discesa. Arrivo a Torrenieri, direzione San Giovanni d’Asso, poi, poco prima di incontrare il paese, giro a sinistra. Strada sterrata che sale, mi fermo. A lato la lastra con l’incisione “Strade Bianche” che segna 8 km. Mi faccio coraggio e parto.

Ai cipressi di San Quirico c’ero già stato qualche mese prima, lascio perdere, non ci passerò. Mi viene in mente però un episodio. Mi trovavo proprio in quel punto, assorto a guardare il paesaggio: una distesa di campi verdi e un gruppo isolato di alberi. All’improvviso sentì dietro di me un clacson e poi un ciclista esclamare “sti cazzo di cipressi!”. 

Più tardi, raccontando l’accaduto, alcune persone del posto commentarono preoccupate: “in quel punto prima o poi succederà qualche incidente. I turisti si fermano in macchina, anche se non c’è spazio, formando una coda in mezzo alla strada”. Un luogo tanto amato dai turisti, quanto odiato, forse, da chi ci passa tutti i giorni. 

Cipressino, così veniva chiamato all’inizio della sua carriera Fiorenzo Magni, il terzo uomo del ciclismo italiano dopo Coppi e Bartali. Poi divenne il Leone delle Fiandre.

Ritorno al percorso. Preoccupato dal punto di vista fisico per questo inizio di seconda tappa, dopo un po’ di fatica vado su che è un piacere, mi sento bene. La mente viaggia: penso allo sforzo che diventa abitudine, alla crescita post-traumatica dei muscoli, all’allenamento che crea una memoria fisica e modifica il sistema nervoso. La plasticità. Mi soffermo sul modo di dire “è come andare in bicicletta”. Una volta imparata e ripetuta una cosa, la sappiamo fare per sempre.

Rispetto al primo giorno questa tappa è caratterizzata dalla bellezza del paesaggio e dalla solitudine, soprattutto dopo Chiusure.

Inizia però una serie di incontri fugaci. Camminatori, auto e cavalli. Una ragazza solitaria con una bandana fucsia che scorgo a centinaia di metri di distanza. Una tesla blu che alza il polverone e mi fa andare sulla parte sconnessa della strada. Una carovana di turisti al trotto capitanata da un uomo a torso nudo che guarda il cellulare.

Mentre li supero ricordo che l’antenato della bici era anche chiamato cavallo meccanico.

Siamo nel 1816. La carestia ha colpito mezza Europa. Per far fronte alla mancanza di cavalli usati come cibo, qualcuno pensa che l’invenzione del barone Karl Drais del 1813 possa diventare un buon mezzo di trasporto. Si chiama Laufmaschine (macchina per correre), dandy horse o velocipede, in seguito detta Draisina: due ruote, un manubrio, una sella lunga e senza pedali. Ricorda un po’ quella che si usa da bambini per imparare a stare in equilibrio e a spingersi con i piedi. È la data di nascita della bicicletta.

E pensare che tutto questo nacque da un emergenza climatica.

Indonesia, 1815. Eruzione del vulcano Tambora. Un’esplosione potentissima. Fuoriuscirono tonnellate di zolfo e si ebbe un impatto climatico quasi a livello mondiale. L’anno seguente è battezzato dagli storici come “l’anno senza estate”. Ci furono sbalzi di temperature: neve a maggio e giugno che distrussero i raccolti nel mediterraneo e nella zona atlantica. La carestia, oltre a far “emergere” l’antenato della bici, causò un’epidemia di tifo che colpì soprattutto i più poveri, anche in Italia. Cosa mi accomuna a questo evento? Associazioni e coincidenze. Facendo delle ricerche ho scoperto che tra i miei antenati ci sono tre defunti nello stesso anno, il 1817. I miei nonni di 9° grado e la loro figlia. La nonna si chiamava Domenica Cinelli. Chissà che non fosse parente anche di quel Cino Cinelli che nel 1947 ha fondato l’azienda di bici!

Ritorno al presente. Si inizia a scendere. Via con i freni. Incontro una parte asfaltata in concomitanza con alcuni edifici, poi di nuovo sterrato e asfalto fino a Buonconvento, borgo di 3000 abitanti. Faccio il giro delle mura prima di entrare nel paese. Bar, bibita e barretta energetica. Seduto, guardo il viavai nel corso principale dove c’è la torre dell’orologio.

Riprendo, esco dalla porta senese di Buonconvento, mancano 14 km per Chiusure, calcolo di essere lì intorno alle 13. A 3 km dal paese scorgo l’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, circondata da cipressi e calanchi. Decido di fare una deviazione e di fermarmi. Appena arrivo scopro che è tutto chiuso. Peccato. Qui, in passato, molti viaggiatori stranieri furono ospiti. È il caso dei Pennell, Joseph ed Elizabeth, ventenni, lui illustratore e lei critica letteraria. Nel 1887 decisero di fare un viaggio insolito, non i soliti Grand Tour. Un viaggio da Firenze a Roma con una specie di triciclo, un Humber Tandem.

Manca poco, solo 2 km a Chiusure. Entro in paese con l’intenzione di mangiare. Mi accorgo che è un piccolo borgo. Poco più di 100 abitanti e due ristoranti: il primo è pieno, il secondo pure. È domenica. Attendo dieci minuti e si libera un tavolo per metà al sole. Di fianco a me una coppia: lui, un signore di mezza età toscano, lei, più giovane, giapponese. Prendono una bottiglia di Rosso di Montalcino. Preso dall’euforia del viaggiatore e a causa della mattinata taciturna attacco bottone. Chiedo loro: “Com’è?”. Mi risponde “Mmm, il tappo è bagnato”. Poi mi domanda se stessi facendo L’Eroica. Rispondo di sì. Mi chiede se fossi passato anche da Castiglion del Bosco con aria esperta. Ancora sì, sottolineando la fatica fatta. Arriva il primo e quindi inizio a mangiare. Quando faccio la scarpetta mi accorgo che sul piatto è scritta la frase “chi ha polli ha pepite”.

Il sole picchia. Sono le 15:30. Prima di riprendere a pedalare mi siedo su una panchina all’ombra. Mi avvio verso Asciano. Passo per il posto più fotografato della zona, l’agriturismo Baccoleno. Dalla provinciale si scorge una sinuosa strada bianca e, ai lati, una lunga fila di cipressi, uno di fronte all’altro. C’è un punto panoramico, ci si arriva tramite una stradina sterrata che finisce su una montagnetta. Lì si vede tutto. C’è una coppia sposata poco più giù che immortala quel momento, un’altra coppia che bene vino nel calice seduta su un telo in stile pic-nic. Due ragazzi prendono il drone e fanno delle riprese. Un viavai di visitatori. Sono l’unico in bici.

In sella di nuovo, direzione Asciano. Dopo un po’ incontro il cartello. Noto subito l’architettura razionalista dello stadio. Entro nel paese. È pieno di bandiere colorate delle varie contrade. Ci sono quattro bar nella via principale e in una piazzetta vicino. Prima di fermarmi e rinfrescarmi in uno di questi passo in un hotel per un nuovo timbro. Mi accorgo che sono già a quota quattro, me ne manca solo uno.

Esco dal paese e pochi centinaia di metri dopo, sulla destra, inizia la strada bianca che mi porterà a Monte Santa Marie. Come a Castiglion del Bosco, è il pezzo più difficile della giornata. Mi appresto anche a questa fatica.

Viste le pendenze lo battezzo il muraglione. Strada bianca sconnessa con diversi fossi e dossi che fanno slittare le gomme. Bisogna spingere. In tutto mi fermo cinque volte. Il sole cala, è metà pomeriggio, oggi me la prendo con calma e il paesaggio è tutto per me. Sembra tutto disabitato. Ecco le crete senesi. Poggi di un giallo pallido. Ritrovo le parole dei Pennell di quasi 140 anni fa “la più desolata del lunare paesaggio delle crete che si estende a sud-est di Siena”.

Incontro un laghetto, poi finalmente sono in cima, il cartello riporta Monte Sante Marie, 300 metri di altezza. Non è finita, saliscendi finché non inizia la strada asfaltata, poi si supera un cavalcavia e si sale dolcemente verso Castelnuovo Berardenga. Ad aspettarmi Francesco tra una Jaguar d’epoca e una sala piena di utensili antichi dove parcheggio la mia Specialized Diverge.

Penso alla frase di Saint-Exupéry: “Misurandosi con l’ostacolo l’uomo scopre se stesso. Ma per riuscirci gli occorre uno strumento. Gli occorre una pialla, o un aratro.” Può darsi che questo pensiero sia valido anche per la bicicletta.

Galli e struzzi

Da Castelnuovo Berardenga a Siena via Gaiole in Chianti | Distanza: 49 km | Dislivello: 710m

6 settembre 2021

Mi sveglio, vado a fare colazione e parlo con Francesco. Gli chiedo dell’auto d’epoca. Mi dice che è del ‘59. La prima auto a montare freni a disco. Mi consiglia per gli appassionati la Coppa Perugina, ideata nel 1924 da Bauli, quello dei panettoni. Lo stesso anno in cui al Giro d’Italia partecipò anche una donna, l’unica, Alfonsina Strada.

Parto, pit stop per gonfiare un po’ le gomme nel punto noleggio bici di Castelnuovo, una piccola spesa di bibite energetiche e si riparte. Ultima tappa.

Mi accorgo subito dei colori, siamo nel Chianti, il verde è predominante. Da qui parte anche un percorso per visitare i castelli del territorio. Mi dirigo verso quello di Brolio.

Dalla provinciale giro a sinistra, strada bianca, cartello dell’Eroica, salgo verso il castello. Arrivo nei pressi dell’entrata dove trovo altri ciclisti e mi siedo su una panchina per riposare. Poco dopo esce dal cancello una guida e un gruppo di settantenni americani che prendono un pulmino e continuano il loro tour.

Qui negli anni 60 e 70 dell’800 Bettino Ricasoli, che fu anche barone e politico nei primi governi dopo l’unità d’Italia, si dedicò alla sperimentazione in vigna e in cantina. Fu il padre del Chianti classico, così come lo si conosce oggi, prodotto con la maggioranza di uve Sangiovese.

Mi rimetto in sella. Scendo verso la strada principale, il sentiero è ripido. A un certo punto vedo un oggetto nero schizzare dalla bici e rimbalzare sul terreno: è la GoPro. Supporto rotto, per la seconda volta. Solo quello per fortuna.

Proseguo, faccio altri 9 km e arrivo finalmente nella città natale dell’Eroica, Gaiole in Chianti. All’entrata della via principale, che è un po’ anche la piazza, dedicata a Ricasoli, un enorme gallo in ferro alto tre metri. 

Il gallo nero è il simbolo del Chianti e viene da lontano, dal Medioevo, quando il territorio era sempre conteso tra Firenze e Siena. Una leggenda narra che vi fu una disputa per tracciare il confine e che sarebbe stato deciso dal punto di incontro di due cavalieri, uno fiorentino e uno senese, in partenza al canto del gallo all’alba. Fu proprio il gallo nero a cantare per primo e quindi a far percorrere al cavaliere fiorentino più strada nel territorio del Chianti.

Faccio visita al negozio con l’insegna L’Eroica per il timbro di rito, poi esco e pranzo. Oggi ho bisogno di pane. Mi appresto alla fine di questo giro. Riprendo la via del ritorno. Faccio una piccola deviazione rispetto al percorso impostato su Komoot, direzione Parco Sculture del Chianti.

Anche qui si sale nello sterrato. Arrivato in cima c’è l’entrata con due enormi peperoni in resina, uno giallo e uno rosso. Poi l’incrocio e la strada asfaltata che mi porta a Pievasciata, denominato borgo d’arte contemporanea. Incontro installazioni per il paese: un fucile annodato e due sagome di persone giganti, alte cinque o sei metri, vicino ai cipressi, opera chiamata struzzi metropolitani. Non passo più da Pianelle ma da Geggiano. Sulla strada vedo Siena da lontano con le sue inconfondibili torri, quella del Mangia e il campanile del Duomo. 

Ci sono quasi. Entro finalmente in città. Eccomi al punto di partenza. Scendo soddisfatto e stanco. Rimiro la mia gravel. Forse la bici è qualcosa di più di uno strumento. Aveva ragione Oriani nella sua ode: “La bicicletta è una scarpa, un pattino, siete voi stessi, è il vostro piede diventato ruota, è la vostra pelle cangiata in gomma.”

Testo e foto di Massimo Colasurdo