Arco – Carè Alto (3.463 m) – Arco
Trovo che muoversi in bicicletta sia un bel modo per imparare la geografia del proprio territorio, per capire il clima e la vegetazione. La giusta lentezza, che caratterizza ogni mio viaggio, mi aiuta ad osservare ed ascoltare con più attenzione, imparo a conoscermi, a riconoscere le piante e i versi degli animali. Ma salendo di quota non c’è solo geografia, flora o fauna, sulle nostre montagne c’è storia, ci sono resti che testimoniano una guerra sul nevaio più esteso del Trentino.
Da diversi anni il ritiro dei ghiacciai restituisce oggetti di ogni genere, è possibile imbattersi in bombe inesplose, filo spinato, pioli arrugginiti, baracche in legno distrutte dal tempo e dalla neve, resti che raccontano ciò che c’è stato. Scene di morte e crudeltà ad alta quota, uomini che combatterono contro il nemico, il freddo e la fame perché conquistare quelle montagne aveva un significato di prestigio e di controllo.
Io ora salgo su quelle montagne con ben altra attrezzatura ed intento e davanti a fili spinati o a croci di vetta, anche se per pochi istanti, un pensiero va a quei poveri soldati.
Ore 4:30 parto da Arco, il paese dorme ancora, nessun rumore di auto, prendo la ciclabile fino a Sarche dove mi attende un amico, un forte alpinista che si è avvicinato da poco alla bicicletta e che ha deciso di salire con me le Vette del Trentino senza fretta, come gli alpinisti di un tempo. Con lui, viste le numerose ore di viaggio, si fanno discorsi profondi sulla vita e sulle proprie passioni, va a finire che parliamo sempre dei nostri incontri comico/disastrosi e ci interroghiamo sulla nostra incapacità di trovare un compagno/a. Più saliamo e più questi problemi svaniscono lasciando posto ad altre perplessità: “Riusciremo ad arrivare a tremila metri questa notte? Riusciremo a raggiungere il Bivacco Eugenio Segalla?”
Arriviamo a Iavrè, una frazione nel Comune di Villa Rendena, qui ci fermiamo per la nostra solita tappa, la Famiglia Cooperativa, il nome non poteva essere più azzeccato, appoggiamo le bici senza legarle. Danilo, il salumiere, si avvicina alla porta d’ingresso come se ci stesse aspettando, anche oggi siamo i suoi primi clienti. Acquistiamo, usciamo e seduti sulla panchina mangiamo il nostro panino. Ecco arrivare la signora in pantofole, uscita di casa per comperare il giornale e l’uomo barbuto con gli zoccoli di legno che viene a prendere il pane, ci salutano tutti ed è come se ormai ci conoscessimo bene. Oggi c’è un tipo nuovo, scende dall’auto, al supermercato qualcuno deve avergli parlato di noi e uscendo ci grida “Visto che salite per la Val San Valentino vi aspetto per un caffè, mi vedrete in giardino”.
Siamo carichi anche grazie alle poche parole scambiate con questa bella gente, che è curiosa, ma non fa tante domande. Ripartiamo, direzione Vigo Rendena, imbocchiamo la ripida strada che porta a Val San Valentino, il sole splende, e circondati da aceri e abeti rossi arriviamo al Rifugio Gork dove l’asfalto si interrompe e la strada, tra larici e betulle, si fa sterrata. In poco tempo arriviamo al Pian del Forno (1.350 m) dove nascondiamo le nostre biciclette e iniziamo a preparare gli zaini con l’attrezzatura, i vestiti ed il cibo.
Seguiamo il sentiero fino a malga Coel di Vigo (1.566 m), saliamo lungo un ripido sentiero nel bosco tra felci e cespugli di ontano nero. Raggiungiamo Malga Dosson (2.360 m), da qui riusciamo ad intravedere il bivacco dove trascorreremo la notte ma per il momento è solo un puntino arancione, la strada è ancora lunga. Arriviamo alla Busa degli Aerei (2.630m) dove sono visibili i pochi resti arrugginiti di 5 caccia militari inglesi che nel 1945, a guerra finita, si schiantarono misteriosamente. Subito dopo ci troviamo circondati da decine e decine di stambecchi, la valle è poco frequentata e appena si accorgono di noi scappano emettendo uno strano verso.
Raggiungiamo il Passo delle Vacche (2.854 m), il panorama è incredibile, intorno a noi un anfiteatro di montagne e una sosta fotografica è obbligatoria. Ora infilati i bastoncini nello zaino procediamo con passi di II grado sulla cresta sud ovest e in poco tempo arriviamo al Bivacco Eugenio Segalla (3.050 m). Il bivacco è in lamiera di color arancione, i 4 tiranti lo ancorano per bene a terra, la porta con la doppia apertura mi ricorda quella di una stalla per cavalli.
Sono quasi le 19:00, arriviamo in tempo per goderci il tramonto. Non siamo soli, ci sono altri 2 ragazzi, che con il loro fornelletto, sono intenti a preparare la cena. A quelle quote la scelta del cibo si riduce a buste di zuppe o risotti e con l’acqua recuperata da un torrente iniziamo a cucinare anche noi. Durante la notte arrivano altri 2 signori, il bivacco da 6 è ora al completo. Sdraiata sul primo letto di tre, piegando le ginocchia riesco a toccare le reti del letto di sopra, provo a dormire ma gli ultimi arrivati sono rumorosi e nessuno riuscirà a prender sonno.
Ci svegliamo presto e appena usciti dal bivacco ci ritroviamo immersi nella nebbia ma siamo decisi a partire. Dopo colazione con tè caldo e biscotti accendiamo i nostri frontalini e ci incamminiamo. La roccia è bagnata e in alcuni punti troviamo neve, procediamo legati, in sicurezza.
Alle ore 11 la croce ci indica che siamo sulla Cima del Carè Alto, la giornata purtroppo non ci regala un gran panorama e decidiamo di abbandonare l’idea iniziale di scendere dalla cresta est rientrando così dalla stessa strada di salita. Inizia a piovere, una pioggerellina fina fina che abbassa l’umore ma non l’attenzione, la visibilità è scarsa e ci perdiamo. Dietro di noi sentiamo arrivare i 2 signori conosciuti la sera prima, vaghiamo con loro per più di due ore prima di ritrovare la via di rientro. Ritorniamo al bivacco che ormai è pomeriggio e dopo una breve sosta ci rimettiamo in cammino. Scendendo di quota ci lasciamo il brutto tempo alle spalle e iniziamo ad intravedere, in lontananza, la valle.
Arriviamo alle bici che siamo euforici, ce l’abbiamo fatta! Non piove e le bici ci sono ancora. Ora si va a cena, solito Agritur a Ponte di Rendena, ormai siamo di casa. Solito tavolino vista bici, solita pizza e solita birra media. Ci immaginiamo un giorno di entrare e dire “il solito, grazie!” Dopo cena si riparte e anche questa sera si rientrerà tardi. Luminosi sfrecciamo verso Sarche, mi aspettano gli ultimi 20 km affiancata da animali nascosti tra i cespugli. Ogni tanto, nel buio, intravedo degli occhi, suono il campanello per fare rumore o guardo nel mio specchietto per vedere se c’è qualcosa di sospetto. Guardo ma non vorrei guardare, rimango in ascolto ma sarebbe meglio non farlo. La velocità aumenta e stremata arrivo in garage, la bici riposerà qui ed io ripercorrerò mentalmente queste due lunghe giornate, i paesaggi visti, le persone incontrate. Entrerò con precisione in ciò che è accaduto cercando di rivivere quei momenti per qualche istante. Penso che non ci sia modo migliore di vivere prima ed osservare poi la propria vita.
Testo e foto di Sara Ischia